venerdì 15 febbraio 2013


JOHN DEWEY

Il filosofo e pedagogista statunitense John Dewey (1859–1952) ha dato un forte e decisivo contributo alla visione culturale e politica di fine Ottocento e inizio Novecento. Fu interessato al miglioramento e al rinnovamento dei sistemi educativi, si occupò di questioni politiche, sociali ed etiche.
Influenzato nella sua formazione dal Darwinismo e dal pragmatismo americano, dopo aver conseguito la laurea nel 1884, con una tesi sulla psicologia in Immanuel Kant, Dewey si dedicò all'insegnamento universitario. Nel 1896 fondò la scuola-laboratorio dell'università di Chicago, nella quale veniva applicato il metodo pedagogico attivo teorizzato dallo stesso Dewey. 
Secondo il pedagogista americano il pensiero ha origine dall’esperienza di un individuo, un’esperienza sociale che nasce dal rapporto attivo tra l’uomo e l’ambiente. 
L'educazione ha il compito di mettere a disposizione nuove esperienze al fine di potenziare le capacità già presenti nel soggetto e svilupparne di nuove.
L'esperienza educativa ha origine nella vita di tutti i giorni, nell’interazione tra gli uomini e tra essi e l’ambiente fisico che li circonda. Tutto quanto è stato appreso attraverso la sperimentazione personale, deve essere analizzato e strutturato in modo organizzato. 
Le situazioni vissute dal soggetto acquistano una valenza educativa solo se determinano l'espansione e l'arricchimento dell'individuo. 
L'ambiente sociale che Dewey identifica come idoneo a sviluppare le potenzialità dell’uomo è la società democratica. In tale contesto è necessaria la collaborazione e la compartecipazione di tutti verso un obiettivo comune. il bene della società. 
 Per essere un membro attivo di una società democratica una persona dovrebbe possedere quattro requisiti:
- l’alfabetizzazione che offre le stesse possibilità anche alle classi svantaggiate;
- le competenze culturali e sociali;
- il pensiero indipendente che, se diffuso nei membri della società, la difende dall’affermazione di un pensiero unico (indottrinamento);
- la predisposizione alla condivisione.
Proprio sulla base di queste considerazioni Dewey attribuisce all’educazione un ruolo fondamentale e imprescindibile nella creazione di una società democratica.
Dewey applica il suo pensiero filosofico, basato sull'esperienza, all'insegnamento scolastico. 
Il cardine dell’attività didattica da parte degli educatori è quella di creare delle esperienze che nascono dagli interessi naturali degli alunni. La funzione dell’insegnante è assecondare tali interessi, accompagnando/supervisionando la crescita e lo sviluppo del senso di socialità.
La scuola si configura, nel pensiero di Dewey, come un'istituzione sociale, che esprime la vita reale di un certo periodo storico e di una certa società. I bambini, attraverso dei percorsi che “riproducono” le attività della vita reale, acquistano maggiori capacità di partecipazione alle attività famigliari e di integrazione nella vita sociale. 
La scuola di Dewey è attiva (attivismo pedagogico); il bambino, infatti, affronta in modo propositivo e attivo le situazioni problematiche che gli educatori prima, e la vita poi, gli pongono di fronte.  Elabora e sperimenta le sue strategie, formula congetture per verificare o falsare le sue ipotesi, valuta e accetta le conseguenze delle proprie azioni ed è in grado di assumersi le proprie responsabilità. 
La scuola di Dewey è progressiva; lo sviluppo del bambino è continuo e progressivo. La scuola non è una stazione di passaggio, un parcheggio, ma rappresenta un luogo di vita sociale.
Dewey individua tre fasi evolutive:
- dai 4 agli 8 anni l’interesse dei bambini è rivolto a bisogni istintuali che emergono spontaneamente e si manifestano con il gioco e l'attività ludica;
- dai 9 ai 12 anni il bambino frequenta la scuola primaria dove è impegnato in attività lavorative che consentono all’individuo di acquisire le abitudini culturali della società in cui vive;
- dai 12 ai 14 anni all'alunno, frequentante la scuola media, è offerta l’opportunità di approfondire e accrescere le sue conoscenze astratte svolgendo attività di studio in biblioteca ed in laboratorio.
.L'Attivismo di Dewey ha portato alla creazione di una scuola non convenzionale, che abbandonato il nozionismo e l'ascolto passivo delle lezioni da parte degli studenti, ha attribuito grande importanza alle loro attitudini e ai loro interessi. Non si tratta, come in passato, di una scuola dei maestri, ma di una scuola degli studenti. 
Per Dewey non è fondante la scelta dei contenuti, anche se importante, ma il metodo; lo studio non deve essere limitato all’analisi e alla rielaborazione del passato, ma proiettato allo sviluppo delle azioni future. Compito della scuola è stimolare la curiosità della ricerca e supportare e potenziare le capacità critiche dell’individuo.
Nella scuola proposta da Dewey i bambini imparano a leggere, a scrivere, a far di conto attraverso lavori domestici, agricoli e artigianali. Questi sono strumenti formativi che favoriscono una corretta interpretazione della realtà. 
Nelle speranze di Dewey il suo modello di scuola dovrebbe superare la tradizionale separazione tra cultura tecnica, riservata alle classi minori, e cultura umanistica, prerogativa delle classi dirigenti, così da garantire a tutti un’educazione democratica.
Il metodo su cui si basa la scuola attiva di Dewey è l'indagine attraverso l'esperienza diretta. Alla base del suo credo pedagogico sta il puerocentrismo che colloca al centro dell’azione educativa il bambino. Questi è rispettato nella sua dimensione infantile, non è forzato a raggiungere nel più breve tempo possibile lo stato di adulto. 
Gli studi e le ricerche degli psicologi, soprattutto quelli in campo evolutivo e dell’apprendimento, determinano una continua revisione dell’approccio pedagogico. L’infanzia è riconosciuta come il periodo più produttivo, ma anche come il più traumatico, nella formazione della personalità dell'individuo. Difficoltà o ostacoli in questa fase evolutiva possono avere ripercussioni, a volte anche non risolvibili, in età adulta. 
La crescita del bambino deve essere quanto più armonica e serena possibile, deve svilupparsi secondo i propri tempi e i propri ritmi, senza forzature. 
L’insegnante abbandona i panni del trasmettitore di conoscenze e veste quelli di guida, ovvero di facilitatore nel processo di scoperta. Questi cerca di personalizzare gli interventi didattici in funzione degli interessi e dei bisogni del bambino. 
Si instaura un forte e indissolubile legame tra la vita reale e il mondo della scuola. L’apprendimento non è consacrato ai soli aspetti teorici ed astratti, ma si apre anche all'esperienza pratica, grazie all’accesso a laboratori. Ogni bambino è stimolato dalle diverse proposte secondo le caratteristiche proprie e vede nascere un rinnovato interesse verso lo studio.
La pedagogia di Dewey ha carattere non direttivo, non necessita, quindi, di un continuo intervento dell’educatore volto ad indirizzare e guidare lo sviluppo del bambino; questi acquisirà un livello adeguati di autocontrollo e autoregolazione per mezzo di scelte libere effettuate in un ambiente educativo adatto.
Tale ambiente deve garantire e favorire le attività d'indagine e di apprendimento del bambino, che possono essere concretizzate attraverso attività ludiche di scoperta e di formulazione e verifica di ipotesi personali. Gli alunni sono lasciati liberi di muoversi nell'ambiente, prendono confidenza con il mondo esterno toccando e manipolando oggetti, assaporando sapori, annusando profumi ed odori. La mano, come afferma Maria Montessori, è l'organo dell'intelligenza.
La scuola voluta da Dewey è in definitiva funzionale agli interessi dei discenti, non impostata sul nozionismo e sull'ascolto passivo degli insegnanti. Il bambino è il protagonista attivo del processo educativo, le attività sono facoltative, i bambini autogestiscono la vita della scuola concordando le regole della vita comune attraverso delle assemblee, in una relazione di condivisione con gli insegnanti. 



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